Trasposizioni semplificanti: il problema della metafora dello sport per le organizzazioni

Leggo, in questi ultimi giorni, diversi post, articoli, commenti, che, a partire dalla vittoria di Sinner, colgono l’occasione per ribadire quanto sia importante, per avere successo, focalizzarsi su aspetti non solo “muscolari” e, per estensione - sic et simpliciter, trasportano dallo sport al mondo dell’impresa le stesse riflessioni sulla natura della performance e sugli strumenti per favorirla.

Da ex agonista conosco piuttosto bene la dinamica performativa dello sport; tuttavia, lavorando da sempre con e per le organizzazioni, credo sia importante stimolare la riflessione collettiva con due importanti distinguo.

Concordo, naturalmente, sulla considerazione, generale e generica, che le competenze specialistiche (specifiche dei ruoli) non siano oggi il motore principale della performance. Nelle aziende, pero’, indipendentemente dalla loro taglia, ci sono alcuni aspetti da chiarire, rispetto a una buona parte dei post che ho potuto leggere.

  • La prima distinzione, riguarda il fatto che nelle imprese la performance deve essere continuativa.

Escludendo possibili sofismi filosofici, non esiste un “appuntamento” in cui ci si gioca tutto (a meno di situazioni organizzative e/o gestionali particolari e tipicamente deficitarie): in azienda ci possono essere momenti topici (un contratto speciale, l’indirizzamento di un problema acuto e inaspettato, alcune fasi delicate di un’operazione di M&A, l’acquisizione di un talento, ecc.), ma la performance si sviluppa nel tempo ed è frutto, sopratutto, di un paziente lavoro di costruzione della Coesione organizzativa. I percorsi di sviluppo che si fanno insieme a manager e imprenditori sono legati, molto spesso, proprio alla scoperta e attivazione della loro capacità di mobilitare il meglio degli altri al servizio di un obiettivo comune e questo passa dal sapere usare bene - e in combinazione - risorse mentali e risorse emotive (ce ne sono anche altre, ma, per semplicità, limitiamoci ora a queste due); chi si occupa di processi di sviluppo individuale ed organizzativo sa bene che queste sono legate ad una molteplicità di fattori, sia afferenti all’area intra-personale che a quella inter-personale. In una composizione che diventa progressivamente più complessa all’aumentare della responsabilità sugli altri.

Quindi, le considerazioni sul necessario lavoro “mentale” che ho letto in molti recenti post rappresentano solo una parte del viaggio di preparazione alla performance nelle organizzazioni. Con l’aggiunta che il concetto stesso di "prestazione" è più articolato e complesso nelle aziende, sopratutto perché le imprese hanno obiettivi di performance sistemica, che richiedono un’ampia partecipazione coordinata. Tutto questo, con il grande rispetto per il serio, difficile, qualificato ed importante lavoro di chi si occupa di performance sportive: propongo solo di non fare trasposizioni semplificanti.

  • La seconda distinzione, già annidata nel precedente punto, riguarda il fatto che un organizzazione è definita come una realtà caratterizzata da interazione (scambi) e Coesione. Si comincia ormai a capire - e ne è evidenza, per esempio, l’evoluzione dei modelli di recruiting non più così focalizzati sul solo “talento” - che nessuno, nelle organizzazioni, può performare da solo e Team e Gruppi sono le vere strutture atomiche organizzative responsabili della performance. Io performo nella misura in cui so interagire con gli altri efficacemente.

Ancora, quindi, fare un lavoro - anche fosse solo “mentale” - su un team (che è un Sistema e non la somma di individui) è molto più complesso che lavorare su un individuo alle prese con una sfida; il focus, prima che sulla performance, deve necessariamente riguardare la creazione di un patto, di un’alleanza di lavoro. La grande performance, poi, si manifesta grazie alle interazioni finalizzate, efficaci e reciprocamente potenzianti, tra i team member.

Limitare lo sviluppo della performance nelle organizzazioni (e della leadership, che crea le condizioni e fornisce direzione) all’ambito del lavoro “mentale” e con strumenti sostanzialmente motivazionali e contenitivi, come alcuni affermano, credo sia molto riduttivo e non consideri la fondamentale integrazione con gli aspetti emotivo-affettivi, che normalmente fanno la differenza nell’accompagnare Individui e Sistemi verso una vita di valore.

Tra l’altro, anche rimanendo nello sport, a onor del vero, il lavoro di Riccardo Ceccarelli (una delle figure più importanti dietro la vittoria di Sinner) è frutto di una combinazione multidisciplinare di professionisti che certamente non si limitano al lavoro mentale ed integrano costantemente molti altri fattori.

Sarebbe interessante usare questi momenti di riflessione su grandi eventi che hanno a che fare con lo sviluppo dell’essere umano per stimolare uno scambio serio, che vada oltre il presenzialismo sui social.