Conflitto e emozioni, “vedere” e “connettere”: gli strumenti per arginare le reazioni e indirizzare i comportamenti alla sostenibilità
Chi è familiare con il nostro approccio sa che il Conflitto è uno stato fisiologico della relazione, che riguarda almeno due persone, in cui si presenta un problema specifico (contenuto) che crea un disagio (significato emotivo).
Abbiamo introdotto alcuni elementi di struttura per affrontare il conflitto: la sua architettura, l’importanza dell’esplicitazione come chiave per raggiungere un “esito” sostenibile, per me innanzitutto, ma anche per le controparti e il decalogo per la comunicazione conflittuale.
Occupiamoci ora del disagio, il “fastidio” associato al significato emotivo che attribuiamo al conflitto, che generalmente è il carburante che aumenta l’intensità e l’entropia, riducendo il controllo in una relazione problematica. Proviamo a capirne di più.
Le emozioni in alcune situazioni attivano pattern comportamentali automatici, simili a copioni che ripetiamo costantemente, e che, se compresi, possono essere le porte di accesso per scoprire l’origine della “scintilla” del conflitto mal gestito. Per stare efficacemente in un conflitto, è “sufficiente” riconoscere la sua origine (spesso lontana nel tempo) e connetterla con il presente, cercando cioè di comprendere come quell’origine sta entrando nella situazione presente, senza necessariamente attivare processi di ristrutturazione di natura terapeutica che, seppur utili, non sono generalmente necessari per sviluppare la competenza conflittuale. Perché è proprio lo smarrimento dato dalla inconsapevolezza che attiva gli impulsi, a volte furiosi o avvilenti: è un meccanismo di difesa dovuto al disagio di non sapere davvero cosa sta succedendo dentro di noi. È un vero e proprio corto circuito, che non lascia altra azione possibile se non l’agire per difendersi. Il problema, ma anche il bandolo della matassa, è che questi sovraccarichi emotivi sono quasi sempre personali, legati alla nostra vita vissuta e all’educazione ricevuta.
Dunque, la chiave di questo delicato processo è innanzitutto la comprensione della nostra situazione nel conflitto e le sue origini.
Dopo aver chiarito questi aspetti, possiamo migliorare significativamente la nostra capacità di restare sintonizzati sull’altro e mantenere una qualità di contatto sufficiente perché la relazione rimanga attiva e costruttiva, non importa quanto problematica. Le emozioni così diventano ispirazione e guida dei pensieri e delle azioni, base per costruire ponti e non “gabbie”, che ci mantengono prigionieri di automatismi sempre uguali a sé stessi. Per esempio, è molto diverso essere condizionati o ispirati (anche se sembra paradossale) dal senso di colpa che una relazione conflittuale attiva dentro di noi. L’ispirazione presuppone che siamo riusciti a connettere il senso di colpa del presente con la sua origine del passato, acquistando così la capacità di gestire/indirizzare il nostro comportamento, uscendo da automatismi che possono creare fratture profonde tra le persone.
È possibile essere ispirati dalle emozioni, tenendone conto e, quando possibile, condividendole, piuttosto che essere sopraffatti da esse, ma solo se si lavora sulle origini, le determinanti, con pazienza e continuità.
Spesso, un supporto esterno qualificato risulta utile ad accelerare processi di consapevolizzazione e, su di essi, costruire azione.
La conoscenza del processo conflittuale e delle tecniche comunicative appropriate, infine, completano la nostra capacità di sostenere il conflitto ed usarlo come terreno di apprendimento e miglioramento delle relazioni.
Sotto un lampione c’è un ubriaco che sta cercando qualcosa. Si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa abbia perduto.
«Ho perso le chiavi di casa», risponde l’uomo, ed entrambi si mettono a cercarle.
Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto chiede all’uomo ubriaco se è proprio sicuro di averle perse lì.
L’altro risponde: «No, non le ho perse qui, ma là dietro», e indica un angolo buio in fondo alla strada.
«Ma allora perché diamine le sta cercando qui?»
«Perché qui c’è più luce!»
—Paul Watzlawick