Relazione e Oggetto – l’architettura binaria del conflitto
Diciamo da sempre che il conflitto non è una distorsione, ma una modalità di relazione e una condizione naturale dei Sistemi, strutturale all’organizzazione e alla società in generale. Se digeriamo questo passaggio, possiamo vivere il dissenso con più leggerezza, sapendo che le cose che riteniamo “pesanti” sono fisiologiche al sistema, da cui si può apprendere e attraverso le quali si può crescere.
Proviamo a riflettere sui due pilastri menzionati nel titolo:
La Relazione è l’elemento fondamentale del conflitto, come l’Ossigeno per l’aria. Se non c’è la relazione (nel senso che non sono interessato a essa o per me non è importante) non ci può essere conflitto. Ci può essere altro, per esempio i comportamenti violenti, tra cui anche alcune forme di indifferenza — di un leader che considera la dialettica con i propri dipendenti non necessaria o addirittura fastidiosa e rende l’ambiente di lavoro tossico o, viceversa, di un dipendente che è intrappolato nel pregiudizio dello sfruttamento e non riconosce all’azienda per cui lavora lo status di controparte, boicottando, spesso in maniera occulta, ogni iniziativa di cambiamento (ricordiamo a tal proposito i preoccupanti dati medi sull’engagement nelle organizzazioni).
Il secondo elemento di struttura del conflitto è l’Oggetto, di cui spesso facciamo esperienza nella sua forma più superficiale di “pretesto”, ma che invece è necessario comprendere nella sua sostanza: il “problema”, quello vero — ad esempio, il punto non è che il mio capo arrivi in ritardo alle riunioni, ma che pensi che il mio tempo valga meno del suo, e/o che io, in fondo, non mi sento riconosciuto. Nel “problema” si trovano gli elementi impliciti, i non detti, che sono gli articoli più preziosi da scovare per fare in modo che tutta la fatica che facciamo per rimanere nel conflitto arrivi al risultato evolutivo di far stare meglio me e la controparte, insieme. ve
L’implicito, infatti, è l’elemento centrale del conflitto. Va prima scovato e poi, come scritto in precedenza, esplicitato in modo controllato, nei tempi e nei modi. Altrimenti il conflitto “esce” quando meno ce lo aspettiamo, con conseguenze imprevedibili.
In questa prospettiva è essenziale arrivare al problema, a cosa bolle in pentola — anche se è importante onorare il pretesto e stare in sua compagnia per quanto tempo è necessario, tenendo conto della mia sostenibilità e di quella della mia controparte e che, nel conflitto, non si possono bruciare i tempi.
Spesso, per esprimere il pretesto, usiamo il canale della Lamentazione o della Pretesa (“non sopporto più il mio capo” o “mi aspetto che lui mi capisca”); essendo entrambe forme di proto-comunicazione conflittuale (un pre-conflitto, in sostanza), stare in queste modalità può aiutare a de-congestionarci, sfogarci un po’, ma questo è utile solo se è limitato nel tempo: se dura molto, la lamentazione scivola nell’autocompiacimento.
Si tratta di un’area fondamentalmente narcisistica, perché può esistere solo finché la situazione non cambia: se cambia, non ci si può più lamentare. La lamentazione cronica non cerca la relazione e il cambiamento — per questo spesso si cercano i partner, di vita o di lavoro, che stanno al gioco e non mi smontano la lamentela. Dietro la lamentela c’è il pensiero che è meglio che le cose rimangano così, perché in fondo conosco la situazione anche se non mi piace.
Se si vuole aiutare un "lamentatore seriale", è importante lasciare la ricerca del consenso a tutti i costi e recuperare l’importante dimensione del dissenso, della sfida che fa nascere cose nuove, a partire da nuovi comportamenti, o fa emergere le cose realmente importanti.
Insieme all’imprescindibilità dell’esplicitazione nelle relazioni conflittuali, aggiungiamo una informazione importante sulla struttura del conflitto, ricevendo dunque un piccolo aiuto metodologico per decodificare informazioni di superficie e per trasformarle in oggetti di lavoro che, se compresi con sufficiente profondità, diventano un prezioso alleato nella costruzione della comunicazione conflittuale competente, che, generalmente, porta a relazioni meno problematiche.