Competenza conflittuale – l’Esplicitazione come atto di cura per noi e per gli altri

Nelle organizzazioni, come nella società di cui esse sono lo specchio, al conflitto viene associata un’aura di generico pericolo e, spesso, il dissenso – anche emozionalmente carico – viene

a) tenuto dentro, internalizzato —“ingoiato” è forse la parola che meglio caratterizza e rende comprensibile a tutti questa azione, che nella vita è capitata a tutti — o, alternativamente,

b) “agito”, ovvero – nella vulgata – “uscito”: una delle parti in conflitto dice e fa delle cose che prescindono dalla considerazione della controparte e dalla ricerca di un esito, ma vengono dette o fatte perché “è necessario”.

Quando il conflitto è solo agito, la caratteristica principale è la reazione: le azioni muovono solo da me, senza lo sforzo di co-creare nulla con il mio interlocutore. Una manifestazione evidente di questo fenomeno è che il dialogo diventa reattivo (botta e risposta, ping-pong, “sì ma”, “sì però”). Quando capita, bisogna avere la lucidità di fermarsi e ripartire dall’inizio.

Il conflitto tenuto dentro, invece, intrappola tutta l’energia generata dal dissenso dentro di noi. Quella “cinetica”, del movimento emotivo che non ci fa stare bene, e quella “potenziale”, della comprensione e indirizzamento. Non offriamo così informazioni, anche grezze, su cosa sta succedendo, non generando alcuna opportunità di apprendimento per noi e per gli altri. L’ambiguità e il non-detto accompagnano questa modalità.

Qualcuno potrebbe osservare, anche a ragione, che non sempre è possibile o opportuno esplicitare il conflitto.

In realtà, nella logica della sostenibilità della relazione, che è il riferimento-guida dell’esplicitazione conflittuale competente, quest’ultima non viene mai messa in dubbio, ma ne vanno gestiti i tempi con attenzione, che non prevedono generalmente  l’azione sincrona, nel momento stesso in cui il conflitto è nella sua fase più carica di emozioni e automatismi, proprio alla ricerca della sostenibilità nostra e degli altri.

In questa prospettiva, ascoltare sé stessi e gli altri nel conflitto ha la funzione di inquadrare i tempi, le modalità e il contesto migliori per esplicitare e massimizzare le possibilità di successo.

I conflitti hanno necessità di essere esplicitati “ecologicamente”: al di là della loro verbalizzazione è importante aprire uno spazio di reciproco ingaggio, di relazione.

L’esplicitazione del conflitto è una nostra area di responsabilità: parte da un processo di sintonizzazione interno-esterno in cui prima ci sintonizziamo su noi stessi per capire “il punto”, cosa sta succedendo, e poi, su questa base, decidiamo cosa condividere con gli altri, per poi mettere in atto strategie relazionali per comunicare in modo tecnicamente corretto ed efficace.

Il conflitto è sempre più al centro della Società e delle Organizzazioni: l’aumento della diversità, che porta alla contemporanea presenza di culture diverse, generazioni diverse, esperienze diverse, interdisciplinarietà stimola continuamente il confronto, anche intenso, su prospettive, bisogni e modi di fare differenti.

Inoltre, i cicli di cambiamento sociale e organizzativo sono sempre più stretti e ravvicinati e pungolano continuamente la plasticità e adattabilità delle persone e delle organizzazioni.

Per questo acquisire Competenza Conflittuale assume un'importanza straordinaria nella vita, a partire da chi ha responsabilità su altre persone o su intere organizzazioni e quindi il potere, sia in senso Rogersiano che giuridico, di cambiare le cose.